Sono ritardatario per natura. Ma questa volta, no, questa volta arrivo in anticipo e, novità per me, pago anche il parcheggio. Il viaggio non è stato lungo, ma è stato importante per me. Sono venuto da solo. Ne avevo bisogno. Volevo sentirmi guidare, osservare le mie emozioni mentre mi avvicinavo, scoprire di essere più capace di regolarle. In effetti no, non ero da solo in macchina, ero con me.
Dopo aver parcheggiato inizio a camminare in questa Milano afosa su un marciapiede che suda asfalto, controllando bene i numeri civici. Non voglio sbagliare. Questa è la mia prima volta, questo è il mio primo basement con StandUp.
Mi fermo di fronte al portone e in lontananza vedo una sagoma familiare. Si è lui, uno dei miei compagni di viaggio in questo recupero. Mi arriva di fronte, ci vediamo l’un l’altro, ci riconosciamo, sorridiamo, forse stiamo pensando tutti è due che è bello vedersi dal vivo e scoprire che entrambi oltre al busto abbiamo anche le gambe. E ci abbracciamo, così, semplicemente con un ciao. L’odore è lo stesso, quello di chi vuole farcela. E ci sentiamo subito fratelli.
Non sapevo cosa aspettarmi quindi entro ignaro un po’ impacciato ma non so perché non mi sento già più solo.. E tutto comincia.
Danilo Cuccagna esiste. MI seggo lo sento parlare, racconta la sua storia. Va dritto, chiaro, non usa mezze misure, usa la verità. Sincero. E più parla, più ascolto. Più ascolto più capisco bene il concetto di ‘pari’ di cui da qualche mese sento parlare. Danilo è uno di noi, ce l’ha fatta e sta convivendo con noi dolori, fatiche e gratificazioni, di quelle che quando arrivano poi non le vuoi abbandonare più. E allora vai avanti, e non molli e ti ritrovi ad essere capace di vivere. Questo è.
MI guardo intorno, siamo in tanti, ci siamo visti per mesi in delle caselline online, eppure è come se lo spazio cibernetico all’improvviso si fosse annullato. Abitanti della stessa casa, stesse paure stesse fragilità, stessa voglia di sentirci vivi.
Prima di andare mi avvicino a Danilo. E’ stato un abbraccio di un minuto lungo per me un’eternità. E c’era molto in quel momento. E’ ho sentito chiaro che quelle braccia mi stavano dicendo che credono in me.
Poi succede che quando si è insieme, si è insieme e ci si sente più forti, ma poi, quando si è soli, si è soli. La strada del ritorno era piena di giovani all’aperto ebri della loro gioventù e della loro inconsapevolezza. So che quello che fanno oggi gli sembra niente di grave. Lo era anche per me. I pensieri iniziano ad affollarmi la mente e minano la mia sicurezza, la mia sobrietà di oggi. Ma respiro, chiudo un attimo gli occhi, ritorno a 10 minuti fa e riprendo il cammino, con le spalle dritte e la vedo la mia direzione.
Salgo, in macchina, dritto verso in casello autostradale di Milano Nord e tiro dritto verso casa.
Perché ce la faccio, ne sono capace, perché questo tempo che mi sto prendendo è un tempo buono per me. E’ un tempo per stare bene, E’ il tempo di imparare a vivere, libero.